SEI SOFFICE O DURO?
La maggior parte dei leader preferisce essere circondata da gruppi di persone con intelligenza emotiva, capacità comunicative e attitudine al gioco di squadra, piuttosto che persone con competenze tecniche specifiche. Va da sé che nel processo di reclutamento è sempre più importante la ricerca di candidati che dimostrino di possedere competenze soft, quali capacità di comunicare, empatia, collaborazione, negoziazione, resilienza e gestione dello stress. In molti casi anche la presenza (o assenza) nei social media viene equiparata ad una di queste.
Se per i neoassunti la valutazione e la valorizzazione di candidati che padroneggiano le competenze trasversali è più semplice, diventa più complessa la valutazione del personale già inserito in azienda, che ha iniziato la propria carriera durante il boom delle competenze tecniche e, in base a queste, è sempre stato valutato e stimolato nella crescita. Bisogna innanzitutto fare chiarezza su alcuni stereotipi per sgombrare il campo da dubbi e vedere la realtà in modo più oggettivo:
- Un buon tecnico non è detto che diventerà un buon leader. E’ il caso del miglior venditore che non è detto diventi un ottimo sales manager o dell’eccellente disegnatore che non è detto possa diventare un Direttore tecnico.
- Il patrimonio di competenze tecniche a disposizione mediamente in azienda è normalmente elevato se l’organizzazione ha avuto successo nel tempo. Le hard skills sono più facilmente trasmissibili e a disposizione di chi voglia imparare.
- Le soft skill non sono un asset facilmente fruibile dal personale aziendale e più difficilmente vengono evidenziati i gap di competenze di queste risorse.
- Il contesto di business è cambiato drasticamente negli ultimi anni in termini di complessità, interdipendenza, connettività in tempo reale e numerosità degli stimoli in ingresso. Le risorse non hanno avuto il tempo di prepararsi adeguatamente al mutamento dello scenario e il più delle volte sono schiacciate dalle mutate condizioni di lavoro.
Dato quanto sopra, ne consegue un modello che rappresenta la prestazione in questo modo:
Potenziale umano ========> Interferenze ==========> Prestazione
Diventa facile in questo contesto identificare il potenziale come le Hard skills e competenze tecniche che rappresentano il vantaggio competitivo tipico dell’azienda.
La voce Interferenze rappresenta gli ostacoli e le difficoltà ambientali, sociali e umane che impediscono al potenziale di ottenere prestazioni di alto livello. Le soft skills agiscono proprio a questo livello, andando ad attenuare l’impatto di queste interferenze. In alcuni casi addirittura agiscono positivamente come moltiplicatore del potenziale. Un esempio per chiarire: la resilienza, la capacità di rialzarsi dopo una caduta, può permettere di trovare insegnamenti e spunti di crescita, proprio da un ostacolo che è stato causa di un fallimento.
Un ulteriore argomentazione a favore delle soft skills sta nel fatto che i tassi di innovazione e progresso attuali non permettono di prevedere i lavori futuri, sebbene le previsioni suggeriscano che saranno piuttosto diversi rispetto ad oggi. Il World Economic Forum stima che il 65% dei bambini che entrano nelle scuole elementari oggi svolgerà lavori che oggi non esistono. Per queste ragioni sarà importante la capacità di adattarsi e riconoscere e prevedere i nuovi trend, le nuove opportunità che l’innovazione porterà e apprendere velocemente dalle proprie esperienze.
Insomma da questo quadro emerge una centralità sempre più crescente delle competenze “umane”, rispetto a quelle “tecniche”. Le prime devono essere viste come fattore generativo e accelerativo delle seconde. La vera chiave per raggiungere il successo aziendale. È per questo che mi stupisco di quanta difficoltà ci sia ancora nell’introdurre piani formativi aziendali, che si basino sulla crescita della persona piuttosto che sulla crescita delle conoscenze. Vedo parti preponderanti dei budget legati alla formazione spesi su formazione tradizionale basata sulla trasmissione di informazioni tecniche dal formatore al partecipante. Probabilmente c’è ancora difficoltà a comprendere i nuovi strumenti di apprendimento, basati sull’esperienza piuttosto che sulla conoscenza. Ed è proprio su questo punto che le aziende dimostrano di necessitare di maggiori competenze trasversali, manca la capacità di uscire dalla zona di comfort e sperimentare nuove soluzioni, di avere una visione dei trend in atto e la capacità di adattarsi alle mutate condizioni ambientali. Probabilmente l’idea di replicare gli stessi modelli con il quale si è proceduto a formarsi nel passato è molto forte e rappresenta uno status quo ancora molto solido e di difficile superamento. Nonostante queste resistenze le startup, le aziende nate in contesti moderni e prive di pregiudizi e vincoli provenienti dal passato, sono pronte ad accettare la sfida e si può comprendere come costruiscano il loro vantaggio sulla concorrenza tradizionalista.
La domanda quindi diventa molto semplice bisogna decidere cosa vogliamo essere e cosa fare per diventarlo.