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OLTRE LA PROVOCAZIONE….

Perché i campioni sono molto più abituati a vincere dei loro rivali?

Ci sono diverse possibili risposte a questa domanda a seconda della prospettiva nella quale ci mettiamo, ma penso si possano poi ricondurre ad un singolo concetto: sono capaci di spostare la propria attenzione sulle cose più importanti e di tenere la barra dritta nel momento decisivo. Questo significa essere concentrati su quello che si deve fare, non guardano agli avversari, non fanno caso a cosa fanno, non si curano di quello che dicono. Abbiamo davanti a noi decine di casi di atleti, allenatori e dirigenti che spostano la propria attenzione sugli avversari, montando polemiche inutili per cercare di innervosirli o distrarli, così facendo non si accorgono che in realtà perdono di vista le chiavi della performance.

Questo succede anche durante il riscaldamento o la gara stessa. Atteggiamenti intimidatori, frasi provocatorie, schermaglie con il pubblico o tentativi di fomentarlo non fanno altro che far perdere il filo della prestazione a chi la compie. Il campione o l’atleta forte mentalmente, gestisce questo tipo di situazioni, non si fa influenzare né intimidire, vive tranquillamente la propria emotività, anzi, si nutre di questi atteggiamenti per incrementare le proprie energie, per motivarsi, per aumentare il focus sulle azioni che lo porteranno al successo. Questo perché proprio in quel momento egli percepisce la debolezza dell’avversario, avverte le paure e l’insicurezza che stanno alla base di certi comportamenti.

Ricordo a questo proposito un episodio nelle scorse olimpiadi accaduto a Michael Phelps, in cui il famosissimo e plurimedagliato nuotatore statunitense venne sfidato e provocato da un rivale durante il riscaldamento della finale dei 200 m farfalla. Phelps, a parte una smorfia sul viso, contenne le emozioni e si concentrò su quello che doveva fare, sulla sua gara, non si curò del rivale, non lo degnò di uno sguardo. Aveva capito che quelle forme di aggressività erano in realtà segno di debolezza. E’ famosa la sua frase che recita:

“Se devo raggiungere quel tempo, io lo voglio raggiungere, non esiste altro di più importante. Quando inizio a pensare se devo controllare quell’avversario o quell’altro, sto iniziando ad uscire dalla mia “zona”.”

Gli atleti vincenti hanno successo perché vogliono fare quello che gli altri non vogliono. Usano il loro tempo in modo efficiente e produttivo, se qualcosa è importante per raggiungere l’obiettivo, la mettono nelle priorità, altrimenti la eliminano dalla loro mente. L’allenamento non finisce mai per chi vuole vincere, ogni sacrificio è lecito e necessario.

Ai giorni nostri questo aspetto dell’approccio mentale è senza dubbio diventato importantissimo. Tante cose distraggono la nostra mente dal presente, da quello che si chiama il qui e ora. Esistono tante pressioni nel mondo dello sport che inducono a distrarre l’attenzione: la stampa, il pubblico, i procuratori spingono a parlare del passato, del futuro, degli avversari, degli arbitri e quant’altro e tutti questi elementi non sono assolutamente funzionali a rendere al 100% nel presente.

Gli atleti vincenti lo sono perché hanno capito che i veri rivali non sono fuori di loro:

Il rivale più grande è dentro di loro.

 La carta vincente è la capacità di tenere la barra dritta a prescindere da quello che succede intorno a loro.

“Se sei troppo impegnato ad imparare i trucchi del mestiere, potresti non imparare mai il mestiere.”

Con queste parole il leggendario coach John Wooden spiegava il fatto che non concentrasse la preparazione della partita sull’analisi della squadra avversaria e che invece il focus fosse estremamente concentrato sui suoi ragazzi, su quello che dovevano fare per sconfiggere il loro principale avversario cioè loro stessi. Egli non si preoccupava perché sapeva che se i suoi giocatori avessero giocato duro, insieme e al massimo delle loro capacità avrebbero sicuramente vinto.

Lascio a voi pensare che livello di sicurezza in sé stessi e di autostima avessero i suoi giocatori.

Lo vediamo chiaramente nel mondo sportivo attuale, quando interviene un’aspra discussione su arbitraggi, presunti favori, comportamenti scorretti degli avversari o quant’altro, intervengono processi per cui nella mente di chi si lamenta, di chi fa polemica, di chi accusa, ancorché ci sia effettivamente ragione di farlo, si formino degli alibi per la sconfitta, si insinui il tarlo del complesso di inferiorità. Si perde il focus sulle azioni da eseguire per vincere. Tutto questo con l’ulteriore risultato che chi è accusato, chi è oggetto della polemica, chi è stato in qualche modo favorito si nutre delle paure e delle insicurezze dell’avversario, implementa un complesso di superiorità, instaura autostima e sicurezza nei propri mezzi e talenti.

So che a molti di noi leggendo quanto sopra potrebbero venir fuori le seguenti parole: “si però quello era rigore!” e questo è la reazione di pancia, è la nostra mente che ci sta ingannando per proteggerci, per non farci sentire dolore, per crearci alibi con il quale addolcire la pillola.

La pillola non ha bisogno di essere addolcita, sono le pillole amare che fanno crescere, che ci fortificano e un domani ci spingeranno a raccogliere successi.

 Pertanto è più proficuo accettare gli avvenimenti e concentrarci su ciò che potremo nel futuro fare meglio.

 

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