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METAMORFOSI DA MANAGER A LEADER

Nel mio lavoro, in qualità di business coach, incontro quotidianamente manager e imprenditori che sono insoddisfatti della loro situazione attuale e che percepiscono un gap in qualche aspetto del loro approccio al business e non sanno dargli un nome specifico. Hanno sviluppato competenze tecniche, hanno accumulato conoscenze, hanno preso consapevolezza delle proprie capacità di svolgere al meglio il proprio lavoro. Sono ottimi venditori, sono ottimi progettisti, sono eccellenti finanziari, sono bravissimi nell’organizzare la logistica, sono dei tecnici impareggiabili.

 Cosa manca?

 Questi manager hanno sempre raggiunto i loro obiettivi e hanno sviluppato competenze specialistiche ed esperienza nel loro campo; ciò che vogliono più o meno inconsciamente è diventare qualcosa di più, fare quel passaggio successivo, da buon manager, vogliono diventare leader, vogliono oltrepassare quello che gli americani chiamano soffitto di cristallo. Una barriera invisibile che ci blocca nel raggiungere il passo successivo per innalzare il livello di consapevolezza e quindi di carriera. Senza questo passaggio andranno probabilmente incontro ad un’onesta carriera, continueranno a percepire questo solletico di cambiamento e magari un giorno rimpiangeranno le occasioni perdute.

Qual è il segreto per compiere questa trasformazione? Esistono delle capacità, delle abilità, delle abitudini e dei comportamenti che, allenati, possono permettere di evolvere lo stile lavorativo e raggiungere quell’autorevolezza necessaria a chiamarsi leader?

Se una persona ha raggiunto la qualifica di manager ha sicuramente costruito i talenti necessari: affidabilità, impegno, competenza e capacità di lavorare duramente. Sono le caratteristiche che portano a ricoprire ruoli di management, ma si può affidarsi a queste per fare il passo successivo?

Per dare una risposta ai quesiti precedenti bisogna capire che differenza c’è tra un manager e un leader. Per fare chiarezza bisogna chiarire la differenza tra management e strategia. La definizione classica di Peter Drucker è la seguente:

“Management è fare le cose bene; leadership è fare le cose giuste”

Il primo rappresenta l’efficienza nel salire le scala del successo, la seconda pone il suo focus nel comprendere se la scala è appoggiata al muro giusto.

Per chiarire è opportuno introdurre una metafora densa di significato. Immaginiamo una barca a vela con tre tipi di membri dell’equipaggio, il primo sono le braccia e i muscoli che muovono le cime e alzano e abbassano le vele (forza lavoro), il secondo è il cervello che organizza il lavoro della forza lavoro (management), il terzo è colui che sta sopra all’albero maestro e controlla se la rotta è corretta e vede l’obiettivo finale (strategia).

Succede, specialmente nelle aziende, che se dall’alto arriva l’ordine “Cambiamo rotta stiamo andando dritti su una secca!”, dal basso arrivi la risposta “Zitto che qui stiamo trovando un bel vento favorevole”. Si è così occupanti nella ricerca dell’efficienza a tutti i costi che ci si dimentica dell’aspetto fondamentale: l’efficacia…

Insomma il contrasto è tra azione e visione.

Essere visionario e ispirare gli altri con il proprio atteggiamento è il fine ultimo del leader.

Cerchiamo ora di capire come meglio allenare noi stessi e quali cambiamenti nell’atteggiamento deve apportare un aspirante leader. Innanzitutto un leader, per essere tale, deve avere dei follower, e con questo non sto parlando di followers su facebook, instagram o twitter….

La capacità di ispirare fiducia e relazionarsi al meglio con gli altri parte da un presupposto fondamentale: la consapevolezza di sé, cioè la capacità di valutare i propri punti di forza e di comprendere le proprie aree di miglioramento. Avere chiarezza sugli aspetti di noi stessi che dobbiamo migliorare ci mette nelle condizioni di incominciare il percorso di evoluzione verso lo stile di leadership che vogliamo esprimere.

Quello che consiglio di fare nei miei percorsi di coaching è proprio questo: prendersi del tempo periodicamente per pensare a sé stessi, alle proprie capacità e ai propri limiti. E

sistono molte domande per farsene un’idea:

  • Quali sono le abilità più sviluppate?
  • Quali invece necessitano di miglioramenti significativi?
  • Quali sono più utili a diventare il leader che vuoi essere?
  • Quali sono le emozioni, le motivazioni e l’attitudine mentale che sono funzionali al ruolo svolto?
  • Quali sono i comportamenti da sviluppare e quali quelli da far sparire?

La risposta serena e onesta a queste domande offre senza dubbi una prima fotografia di qual è effettivamente il valore aggiunto all’organizzazione. Se, ad esempio, un vostro talento è la competenza nell’analisi dei dati, il valore connesso ad esso sarà quello di far in modo che la direzione sia sempre in grado di ricavare dai dati una puntuale base per prendere le decisioni. Se voi percepite di portare questo valore all’azienda, allora sarà molto più probabile che chi è attorno a voi lo percepisca e lo riconosca in voi. La controprova? Chiedete feed-back ai vostri collaboratori e ai vostri colleghi. Una buona cultura del feedback costruisce un ambiente fertile per il miglioramento. Attenzione ci sono delle regole essenziali per richiederlo e per riceverlo. Fermarsi alla domanda “Come vado?” è riduttivo; nel caso precedente potrebbe essere: “Io voglio far in modo che la direzione abbia sempre una base dati solida per prendere le decisioni, lo sto facendo in modo efficace?”.  Le risposte a questo quesito ci faranno realmente capire come gli altri percepiscono il nostro contributo. Allora vinciamo la timidezza, usciamo dalla zona di comfort, prepariamoci a ricevere risposte che potrebbero non piacere al nostro ego, facciamoci aiutare da chi abbiamo intorno a noi, collaboratori, colleghi, supervisori e perché no dal coach,

 perché se chiediamo aiuto ne riceveremo!

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